CRIMINI PARTIGIANI IN BALCANIA: IL DUPLICE OMICIDIO DEGLI INSEGNANTI DI PIEDICOLLE-PODHUM (12 GIUGNO 1942)

25/3/2020

Sui crimini contro l’umanità commessi dai partizan slavi nella ex-Iugoslavia tra il 1941 e il 1943 manca uno studio generale, come abbiamo evidenziato nel nostro breve saggio Crimini partigiani in Balcania (1941-1942). Il sacrificio degli Italiani nelle carte della Federazione del PNF di Fiume.

Tra le evidenze della nostra analisi vi era l’assoluta mancanza di motivazioni che potessero, non diciamo giustificare, ma far comprendere la soppressione degli Italiani, se non quella di rappresentare un’idea e una nazionalità che i partizan slavi, illegittimi belligeranti, odiavano a prescindere. Il dato che tra i dodici nostri connazionali assassinati censiti dalla Federazione fascista di Fiume nel Giugno 1942 vi fossero ben otto civili, tra cui due donne (Ariella Rea e Francesca Accordino), rendeva bene l’idea dell’indeterminatezza delle accuse che si potevano fare loro, come della genericità delle soppressioni, che non risparmiavano nessuno. E lo si vide bene quando, crollato il sistema difensivo militare italo-tedesco in Istria, le formazioni titine invasero il territorio italiano massacrando la popolazione presente in quella che passò alla storia come la pulizia etnica dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, che per l’appunto non riguardò solo i militari dell’Asse, non riguardò solo i “fascisti”, ma tutti gli Italiani, indistintamente. Omicidi, stragi, mattanze sommarie avvenute durante e dopo la fine della guerra, contro gente inerme.

Nel nostro breve saggio ci colpì il duplice omicidio di Giovanni Renzi e Francesca Accordino, due insegnanti. Ha subito richiamato alla mente il modus operandi dei titini durante la pulizia etnica della Primavera del 1945, quando i primi ad essere “decapitati” furono proprio gli Italiani che avevano funzioni direttive nelle comunità locali, quindi non solo Podestà, Commissari prefettizi, Segretari comunali, ma anche imprenditori, insegnanti e Sacerdoti. Come abbiamo visto, questa violenza ha radici profonde: nella guerriglia come sviluppatasi in Balcania tra il 1941 e il 1943, quando alla guerra di liberazione nazionale si aggiunsero motivazioni politiche che tramutarono questa lotta – essenzialmente guerriglia – in guerra di classe, guerra etnica, guerra di conquista comunista del potere. Una guerriglia che ebbe la possibilità – a differenza di quanto avvenne nell’Italia settentrionale – di poter fare un salto di qualità, non solo per le masse che riuscì a mobilitare, ma anche per l’importante supporto operativo e materiale degli Alleati, tra i quali si distinsero i Britannici con l’invio di missioni, di armi e di mezzi, tra cui non dimentichiamo anche il sostegno diretto della ricostituita Regia Aeronautica del Regno del Sud, che effettuò aviolanci di armi e materiali, nonché bombardamenti (anche in territorio italiano).

Tornando all’oggetto della nostra riflessione, le preoccupazioni delle Autorità italiane per la sorte degli insegnanti che operavano nelle zone soggette all’azione partigiana si sviluppò proprio all’indomani della sconfitta della Iugoslavia (Aprile 1941) a seguito della quale si istituì la Slovenia italiana (Provincia di Lubiana) e la Provincia di Fiume fu ampliata, inglobando alcuni Comuni della Liburnia croata. In questi territori presero ad operare varie organizzazioni anti-italiane che furono la base sulla quale si sviluppò la guerriglia.
I nuovi confini italiani 1941-1943:
in rosso la Provincia di Lubiana (Slovenia italiana) e in verde la Provincia di Fiume

I guerriglieri – illegittimi belligeranti – cominciarono ad operare attraverso agguati, imboscate, assassini, attentati. Non solo contro il regolare Regio Esercito che occupava i territori dell’ex-Iugoslavia, ma anche in danno di civili italiani. Tra questi i primi a cadere furono gli Italiani più in vista, come gli insegnanti. Sebbene nulla potesse essere a loro addebitato, erano semplici funzionari dello Stato, che facevano il loro lavoro ed adempivano ai loro doveri, la loro eliminazione fu vista come necessaria per abbattere in un colpo solo la cultura italiana. In questo contesto, il 13 Giugno 1942, vennero rapiti ed uccisi i coniugi Giovanni Renzi e Francesca Accordino, maestri della scuola di Piedicolle-Podhum (Fiume), una frazione del Comune di Jelenje, recentemente acquisto dalla Provincia del Carnaro.
La frazione di Piedicolle-Podhum si trova a 12 km a Nord di Fiume

Giovanni Renzi era nato ad Assisi (Perugia) il 12 Aprile 1879, era Seniore della Milizia e Capitano del Regio Esercito ed stato trasferito dalla provincia di Salerno, dove insegnava, a Podhum in qualità di Caposcuola: “Uomo di ferma fede fascista, profondamente conscio della missione di educatore che nei territori annessi gli veniva affidata, assolse il suo ruolo di insegnante nel migliore dei modi. […] Malgrado l’età avanzata, egli seppe, colla sua energia, mantenere alto il prestigio dell’Italia e suo personale; benché anziano di anni, egli era giovanilmente ed instancabilmente alacre nel suo lavoro”[1].

Appena giunto nella piccola frazione, per prima cosa cercò di creare un rapporto amichevole e di collaborazione con i genitori degli alunni: “Per la sua azione e per le sue alte doti, egli si impose al rispetto del paese, ma la propaganda comunista si era ormai tanto infiltrata tra la popolazione”, che dovette anche intervenire d’autorità per placare il nascere di discordie. Iniziarono le minacce, ma Renzi, nonostante fosse conscio dei pericoli cui andava incontro, volle rimanere al suo posto, portando sempre con sé la tessera di riconoscimento di Seniore della Milizia, come atto di una fede che non conosceva paura.

Francesca Accordino, era nata a Marina di Patti (Messina) il 20 Febbraio 1897, “di animo mite e buono, era ben presto riuscita ad accattivarsi l’affetto dei suoi scolari e ad ottenere dalla sua attività di educatrice risultati insperati”. Ma anche in questo caso, la propaganda comunista soffiò sul fuoco degli odi e giunsero presto alla Federazione fascista di Fiume notizie su una prossima spedizione punitiva contro la maestra italiana. Il Federale Genunzio Servidori, valutata la serietà del pericolo, esonerò Accordino dall’insegnamento, allontanandola da Podhum, ordine al quale Francesca aveva ottemperato con dolore. Del resto, la situazione si stava facendo gravissima.

Il 10 Giugno 1942, in un attentato dinamitardo avvenuto presso il Ristorante “Italia” di Lubiana (Slovenia italiana) era deceduta, l’insegnante Ariella Rea, Vicesegretaria federale della GIL e Segretaria provinciale delle Massaie Rurali.

L’11 Giugno 1942, erano stati prelevati da partigiani comunisti i maestri di Zaule di Liburnia – Čavle (Fiume) Antonio Lambertino di anni 30 e Domenico Calabrese di anni 27, “anch’essi si erano appassionatamente dedicati alla loro missione di insegnanti”. Erano originari di Eboli (Salerno). Di loro nulla più si era saputo, anche se notizie raccolte dal Comando Superiore delle FF.AA. Slovenia e Dalmazia li davano entrambi per morti, fucilati subito dopo il loro sequestro sulle montagne: “Contro di loro si accanì la ferocia comunista”. I loro corpi non saranno mai ritrovati…

Zaule di Liburnia distava solo quattro chilometri da Podhum.

Il 13 Giugno 1942 era l’ultimo giorno di scuola. Francesca Accordino decise, comunque, di recarsi dai suoi piccoli alunni che amava per distribuire di persona gli attestati finali: “Questo atto di dedizione alla scuola le costò la vita”. Infatti, la sera stessa giunse in paese una banda ribelle che sequestrò i due coniugi: “I maestri Renzi furono sottoposti ad un vero calvario, ma invano i partigiani tentarono di piegare la loro indomita volontà di Italiani”.

I due vennero portati sulle montagne, ma Francesca Accordino, ormai sfinita, non riusciva ad andare al passo. Fu presa e gettata in un burrone. Lo schianto fu fatale, triste presagio del dramma delle foibe che qualche anno dopo sconvolgerà l’intera regione…

Il marito dovette assistere impotente all’assassinio della sua amata e sopportare due giorni di prigionia in mano ai suoi aguzzini. Il 16 Giugno venne fucilato: “Ascoltò senza batter ciglio la sentenza di morte; chiese che gli venissero slegate le mani e davanti al Plotone di esecuzione si scoprì il petto e morì gridando: «Viva l’Italia!»”.

Giovanni Renzi sarà decorato di Medaglia d’Oro al V.M. con la seguente motivazione: “Ufficiale di complemento in congedo e maestro in una località di occupazione, durante una fase operativa delle nostre truppe, catturato con la consorte e trascinato verso un accampamento nemico, doveva, lungo il percorso, assistere all’uccisione della compagna da parte di alcuni banditi che, dopo averla pugnalata, ne gettavano la salma in un burrone. Rimasto per due giorni prigioniero, subiva serenamente ogni sorta di sevizie e di torture, rifiutando sempre di fornire alcuna informazione al nemico. Condannato a morte, raggiungeva il Plotone di esecuzione cantando gli inni della Patria. Chiedeva poi che gli venissero slegate le mani e, aperta la camicia, offriva il petto nudo al piombo nemico. Cadeva inneggiando all’Italia. Fulgido esempio di patriottismo”.

Assisi, in suo onore, gli dedicò una via, perché il suo esempio potesse essere di ispirazione per le generazioni future.

Il duplice omicidio ebbe un tragico risvolto nella rappresaglia che, il mese successivo, dopo che nella zona erano stati soppressi sedici soldati italiani, si scatenò sul paese di Piedicolle-Podhum[2].

Il 12 Luglio 1942, su ordine del Prefetto di Fiume Temistocle Testa, 250 soldati italiani del XXVII Settore di Copertura, Carabinieri Reali, elementi ustasha e Camicie Nere del II Battaglione Squadristi “Emiliano” al Comando del Magg. Armando Giorleo circondarono l’abitato e prelevarono tutti gli uomini tra i 16 e i 55 anni. 91 abitanti, considerati partigiani o favoreggiatori del movimento di guerriglia, furono fucilati da soldati del Regio Esercito. Il villaggio fu dato alle fiamme e la restante popolazione deportata nei campi di concentramento. A tutt’oggi quella di Podhum è considerata la più grave rappresaglia condotta dalle Forze Armate italiane durante la Seconda Guerra Mondiale (in un rapporto di 5 a 1).

L’eliminazione degli insegnanti italiani divenne una priorità per i partizan slavi: colpire la cultura italiana per procedere poi alla sua completa cancellazione. E non fu solo un motto. Nei mesi seguenti i maestri italiani furono al centro delle attenzioni del movimento comunista. Fino ad arrivare ad una vera e propria campagna di soppressione. Il 17 Maggio 1944, il Comando della 107a Legione della Guardia Nazionale Repubblicana di Zara telegrafava allarmato al Comando Generale:

NOTIZIE DALLA DALMAZIA

Qualche tempo fa elementi partigiani hanno prelevato in massa il Provveditore agli Studi, le maestre e i maestri italiani (di cui diversi appena diciottenni) da Spalato e trasportatili in una località interna, li hanno processati per italianità e fascismo e fucilati. Fatti sporadici analoghi sembra si siano verificati anche in altre province dipendenti dal Governatorato del Litorale Adriatico[3].

Infine, il tragico epilogo della pulizia etnica in Istria della Primavera 1945 quando, dopo aver “assassinato la cultura italiana”, si procedette alla cancellazione della millenaria civiltà romano-veneta nell’Adriatico Nord-Orientale. Oltre 10.000 furono i nostri connazionali che scomparvero in quella Primavera di sangue, oltre 300.000 coloro che dovettero abbandonare le loro terre per la scelta di rimanere, prima di tutto, Italiani.

Pietro Cappellari

[1] ACS, Mostra della Rivoluzione fascista, b. 4, f. 34 – Fed. Fiume, sf. Giovanni Renzi.

[2] Cfr. R. Colloredo di Mels, Controguerriglia. La 2a Armata italiana e l’occupazione dei Balcani 1941-1943, Soldiershop Publishing, 2019.

[3] ACS, GNR, b. 49, f. B-6 – 107a Leg. Zara, cit. in P. Cappellari, La Guardia della Rivoluzione 1943-1945. La GNR nel 1944: organizzazione ed impiego militare, Herald Editore, Roma 2017, vol. II, pagg. 270-271.