L’omicidio di Remiro Arcangeli

14/4/2020

di Pietro Cappellari

Come abbiamo visto, il grande rastrellamento avvenuto nel Perugino meridionale e nell’Alto Reatino aveva liquefatto la Brigata “Gramsci” e tutti i gruppi di sbandati o partigiani che si aggiravano in queste regioni. L’operazione di bonifica aveva avuto riflessi positivi anche nel Basso Ternano. Nelle zone lontane dal confine con la provincia di Rieti, però, le bande continuavano ad aggirarsi sui monti. A Silvella di Orvieto, ad esempio, la sera del 2 Aprile 1944, un gruppo di ribelli aveva assalito un Sottufficiale e tre Militi della GNR di ritorno da una perlustrazione. Se fatta con capacità, l’imboscata sarebbe stata letale e nulla avrebbero potuto fare gli assaliti. In questo caso, invece, la pattuglia della Guardia Nazionale Repubblicana fece addirittura in tempo a rispondere al fuoco e a mettere in fuga gli aggressori1.
É del 12 Aprile 1944 la notizia che ad Amelia, dalle finestre di una casa disabitata, erano stati sparati alcuni colpi d’arma da fuoco contro il locale Commissario del Fascio Repubblicano e Commissario di PS Gaetano Pattarozzi. Ancora una volta, il fascista riusciva a scampare all’agguato mortale2.
Il 14 Aprile, in località Valle Caprina di Terni, sconosciuti armati di un mitragliatore, penetravano nell’abitazione di Remiro Arcangeli. L’uomo, durante il saccheggio della casa, venne ferito all’addome e fu costretto al ricovero in ospedale3. Morirà dopo alcuni giorni di agonia.
L’azione, nel dopoguerra fu ricondotta a una semplice, quando drammatica, rapina finita male, e subito cancellata dalla memoria collettiva. Fu in realtà una vendetta – indiretta e non politica – consumata da sei ribelli alla macchia, di cui almeno uno – quello che sparò – conosceva molto bene la vittima, fascista della prima ora.
Verso l’1:30 di quel 14 Aprile, dopo aver scardinato la porta di casa, penetrarono nell’abitazione di Remiro Arcangeli degli individui vestiti con panni civili e militari (parti di divise germaniche e della GNR). La vittima, che era con la moglie Rosa Vatoni, chiese cosa si volesse da lui, dimostrandosi disponibile a cedere qualunque cosa, purché non si commettessero ulteriori violenze. Offrì subito una bottiglia di vino che, però, non fu accettata. Allora comprese che i sei partigiani erano venuti per sopprimerlo. Arcangeli spiegò che lui non aveva mai fatto del male a nessuno e non comprendeva il motivo di quella spedizione punitiva. Lo interruppe un individuo mascherato e con divisa germanica che sostenne di conoscerlo molto bene, accusandolo di essere il fratello di Arcangelo, uno squadrista ternano reo dell’uccisione, nel 1921, di Emilio Donati.
Mentre i ribelli saccheggiavano l’abitazione, uno di loro, avendo trovato i pantaloni di una divisa da “squadrista” (?), urlò alla vittima con tono minaccioso: «La tua rovina sono questi!».
Depredata di ogni oggetto utile l’abitazione, i partigiani uscirono e rimase con Arcangeli solo il capobanda (l’individuo mascherato, in divisa germanica). Questi intimò la consegna del fucile da caccia, ma la vittima rispose di non possederne, in quanto aveva a suo tempo già consegnato l’arma alle legittime Autorità, adempiendo alle prescrizioni di legge. Alla risposta negativa, il partigiano estrasse la pistola e disse: «Ne muoiono tanti! Uno più o uno in meno, poco importa. Questa è per te e poi ce n’è anche per tuo fratello». Detto questo, scostò con brusco gesto la moglie che abbracciava il marito per difenderlo e fece partire un colpo allo stomaco di Arcangeli che si accasciò a terra. Infine, si unì ai suoi compagni e si diresse verso Miranda di Terni.
Subito soccorso e portato presso l’Ospedale della CRI “Le Grazie” del capoluogo, Remiro spirò dopo alcuni giorni di agonia, il 22 Aprile seguente4.
Come abbiamo detto, nel dopoguerra si volle dimenticare questo episodio di sangue, relegandolo magari ad una specie di rapina “andata male”, anche se a commettere il reato erano stati dei ribelli che agirono spinti – così si sostenne – dalla volontà di concretizzare una vendetta politica a lungo covata. Una vendetta, sia detto per inciso, che nulla aveva di politico e fu rivolta contro un uomo che nulla aveva a che fare con la morte, avvenuta 23 anni prima, di Emilio Donati. Infatti, Donati era stato ucciso nelle prime ore del 30 Maggio 1921 da Arcangelo Arcangeli, fratello di Remiro. Arcangelo, dopo una violenta rissa scoppiata per motivi di gioco presso l’Osteria “Allegretti” di Valenza di Terni, non aveva esitato ad estrarre una pistola e a sparare. Donati era stato raggiunto alla testa da alcuni colpi di arma da fuoco ed era morto all’istante. Il processo si svolse nel 1922 presso la Corte di Assise di Spoleto che ebbe ad evidenziare come l’omicidio fosse riconducibile esclusivamente ad una lite nata durante una partita di morra, degenerata in un violento pestaggio e conclusa da Arcangelo con l’omicidio di Emilio5.
Infine, ci si permetta una riflessione sulle “etichette” che una certa vulgata tende ad affidare a destra e a manca per speculare sui fatti o giustificare dei crimini. Non risulta nessun squadrista operante nel Ternano prima della Marcia su Roma con il cognome di Arcangeli6. Se vendetta ci fu, quindi, fu una vendetta squisitamente personale, che colpì – comunque – un innocente, fascista però, quindi non meritevole di pietà.

1 Cfr. ISUC, RSI Umbria, b. 1, f. 2 – Carte Fondazione “Luigi Micheletti” – Provincia di Terni, n. 21.
2 ACS, PS 1944-1946, b. 171, f. Terni – Incidenti.
3 Cfr. telegramma a mano del Gruppo Presidi GNR di Terni, datato 14 Aprile 1944, in ASTR, Questura, 1° V., b. 15, f. Arcangeli Ramiro – patita rapina.
4 Rapporto del I Aiutante Nicola Ioirio, Comandante del Distaccamento GNR di Papigno, datato 3 Maggio 1944-XXII, in ASPG, Corte d’Appello, PP, b. 59, f. 888.
5 Cfr. ASPG, SASS, Corte di Assise di Spoleto, B. 231.1, processo contro Arcangeli Arcangelo (sentenza del 17 Maggio 1922).
6 Cfr. G.A. Chiurco, Storia della Rivoluzione Fascista, cit., vol. II, pagg. 355-361.