JUGONEGAZIONISTI, GIUSTIFICAZIONISTI, IGNORAZIONISTI

30/12/2020

Quando la storia è ostaggio della
politica e dell’odio

È inutile. Non passa giorno che
l’olocausto degli Italiani
dell’Istria, di Fiume e della
Dalmazia – la più grave tragedia
che ha colpito la nostra Nazione
nel corso della sua storia – non
sia al centro delle polemiche
politiche. Nonostante
l’istituzione del Giorno del
Ricordo nel lontano 2004. Avrebbe
dovuto costituire un primo passo
per la conoscenza pubblica di quel
dramma e – ovviamente – per
“riparare”, con un atto di
giustizia, l’offesa fatta a quegli
Italiani e a quelle terre. Ma
siamo ancora al punto di partenza.
Come se quella Legge – benemerita
– abbia costituito solo un “atto
di soddisfazione” per una parte
politica – che, infatti, l’ha
“strappata” in extremis – contro
un’altra parte. Una parte
soccombente che non smette di
gridare per l’affronto subito. I
più, certamente, si defilano, non
scendono in campo, accontentandosi
di una smorfia di disgusto quando
sentono parlare delle foibe, ma
non mancano certamente i militanti
della contestazione a viso aperto.
Hanno i nomi più disparati,
vengono chiamati in genere
jugonegazionisti, proprio per
evidenziarne la scelta di campo
anti-italiana e filotitina che li
stimola a negare addirittura
l’esistenza delle foibe con
supponenza. Del resto, gente che
ha vissuto nel mito del “paradiso
dei lavoratori” istaurato nell’Est
europeo dal bolscevismo in tutte
le sue salse, non può che vivere
in una realtà parallela, dove, per
l’appunto, è del tutto ovvio che
le foibe non siano mai esistite e,
se sono esistite, le hanno
utilizzate i “faSSisti”. A questi,
si affiancano i
giustificazionisti, in genere
docenti o studiosi di storia
(tutti con stipendio statale) che,
se certamente oggi non si fanno
più fotografare con la bandiera
rossa in mano, tendono a
giustificare i crimini commessi
dai partizan titini, accusando gli
Italiani di questo o quel crimine
“precedente” che spiegherebbe la
“vendetta” del 1945. Infine, ci
sono gli ignorazionisti,
neologismo coniato dallo studioso
Emanuele Mastrangelo, per indicare
coloro che, raccontando del
confine orientale italiano,
ignorano appositamente interi
capitoli di storia, presentando
quindi il contesto in cui sono
avvenuti i crimini di guerra e
contro l’umanità degli Slavo-
comunisti, in modo del tutto
artefatto e accomodante per la
vulgata. E nel neologismo non
possiamo non evidenziare la parola
“azionista”, proprio per
sottolineare una visione
ideologica della storia che è
propria a questa categoria di
“narratori” politicizzati,
estremisti e moralisti come gli
azionisti di un tempo… e di oggi!

Una cosa, comunque, accomuna
queste “specie”: sono tutti
antifascisti. E il manipolare la
realtà dei fatti è funzionale alla
politica della storia che
intraprese, nel 1945, il PCI.
Anche oggi che il PCI non c’è più.
Rimangono a sostenere quel
catafalco ideologico solo le
associazioni neopartigiane ed
alcuni istituti della Resistenza,
tutti generosamente sovvenzionati
dallo Stato italiano.

Sia detto per inciso. Per noi la
storia è una scienza, non certo
argomento ideologico o teologico.
Tutto deve essere sottoposto al
vaglio dei documenti, dell’analisi
comparativa. Tutto deve essere
posto sotto revisione. Anche i
dati e le modalità dell’olocausto
degli Italiani dell’Istria, di
Fiume e della Dalmazia. Tuttavia,
la nostra critica non si rivolge
verso i revisionisti – ben
vengano! – ma contro le “specie”
suddette che, nel nome di una
politica della storia di
ispirazione comunista, tendono a
distorcere la realtà dei fatti,
con i soldi dello Stato, ossia con
i soldi di tutti gli Italiani.

Noi siamo convinti che queste
persone – che pur vivono in una
realtà parallela che li spinge
addirittura a rifiutare la propria
Patria – siano consapevoli dei
crimini commessi dal comunismo e
dai titini in particolare e
mentono sapendo di mentire, perché
nel loro modo di agire e di
pensare la questione non è
storica, non è più nemmeno
politica – essendo il marxismo-
leninismo sprofondato negli abissi
del proprio fallimento planetario
-, ma è essenzialmente m-o-r-a-l-
e. Ossia, la loro superiorità
morale non ammette annotazioni o
critiche di sorta. Se hanno
compiuto quel hanno compiuto, lo
hanno fatto “a fin di bene”, per
una “meta superiore”, che non
ammette, per l’appunto, critiche,
revisioni, appunti di nessun
genere.

Per fortuna, nel grigiore in cui è
sprofondata la cultura italiana in
questi ultimi decenni, dove si
registrano passi indietro nella
stessa storiografia – altro che
Giorno del Ricordo! -, ogni tanto
uno spiraglio di luce viene ad
illuminare il cammino di chi fa
della storia una scienza per
comprendere il passato e non certo
uno strumento politico. Tipico il
caso di Confine orientale.
Italiani e Slavi sull’Amarissimo
dal Risorgimento all’Esodo
(Eclettica Edizioni, Massa 2020),
l’ultimo lavoro di Pierluigi Romeo
di Colloredo, fine studioso
d’avanguardia e prolifico
saggista, che segue il
fondamentale Controguerriglia: La
2a Armata italiana e l’occupazione
dei Balcani 1941-1943
(Soldiershop, 2020), con cui ha
messo a tacere le speculazioni sui
crimini di guerra italiani in
questo settore.


Pierluigi Romeo di Colloredo,
archeologo, saggista, fine
studioso della Seconda Guerra
Mondiale. Al tema del confine
orientale italiano ha contribuito
anche con il suo
“Controguerrilia”, in cui
finalmente mette a tacere tutti
coloro che tentano di speculare
sui crimini italiani in Balcania
al solo scopo di giustificare i
crimini di guerra e contro
l’umanità compiuti dai partizan
slavo-comunisti, spesso con
l’aiuto dei comunisti italiani
Confine orientale è uno studio
che, finalmente, fa chiarezza
sulla storia della Venezia Giulia
e sulle pressioni che l’elemento
italiano, nel corso dei secoli, ha
subito, smascherando tutti i
tentativi degli jugonegazionisti,
dei giustificazionisti (con
stipendio statale) e degli
ignorazionisti di stravolgere la
realtà dei fatti per fini
politici. I fatti parlano chiaro.
I dati parlano chiaro. Quei fatti
e quei dati che, guarda caso, non
si trovano nei testi pubblicati
anche da altisonanti case
editrici, tutte dedite alla
“Cultura” ovviamente!
Evidentemente, l’eskimo in quelle
redazioni non è ancora passato di
moda!

Vorremmo soffermarci in questo
breve intervento sui dati della
guerra nella ex-Iugoslavia (1941-
1945). Le stime ci parlano di
oltre un milione di vittime, la
maggior parte attribuibili alla
guerra civile scoppiata tra le
varie nazionalità slave. Circa
600.000 “nemici del popolo” furono
sterminati solo dai titini, in
gran parte dopo la fine del
conflitto, in un bagno di sangue
che non ha precedenti e che ha
fatto della Slovenia il più grande
cimitero a cielo aperto
dell’Europa!

In tutto questo allucinante
scenario di sangue, alle regolari
Forze Armate italiane, legittime
belligeranti, che applicavano le
convenzioni internazionali di
guerra, sono attribuite meno di
10.000 uccisioni!

Senza contare che nel successivo
“paradiso dei lavoratori”
instaurato da Tito nella risorta
artificiale Iugoslavia socialista,
tra il 1945 e il 1987, si registrò
la morte di altri 500.000 “nemici
del popolo”, che fa ammontare il
conto delle vittime del comunismo
titino alla spaventosa cifra di
1.172.000, tra cui – e venivamo a
noi – 10.000, forse 15.000,
Italiani dell’Istria, di Fiume e
della Dalmazia.

Questi dati dimostrano delle
evidenze da sempre sottaciute. Che
non esiste nessuna causa-effetto
tra la repressione della
guerriglia nei Balcani compiuta
dagli Italiani tra il 1941 e il
1943 e il successivo genocidio
compiuto dagli Slavi-comunisti
sulla popolazione istriano-
fiumano-dalmata. E se si deve
trovare una causa-effetto –
peraltro ben contemplata dalle
convenzioni internazionali – è
quella che lega la repressione
dalla guerriglia compiuta dagli
Italiani alle barbare azioni degli
illegittimi belligeranti titini.
Infine, il bagno di sangue con cui
Tito battezzò e tenne in piedi la
sua Iugoslavia socialista dimostra
chiaramente come lo sterminio dei
“nemici del popolo” fosse uno
strumento di violenza usato su
vasta scala contro tutti gli
oppositori – o presunti tali – del
comunismo, senza che vi fosse un
“precedente”, una “provocazione”,
un “crimine”, a scatenarlo. Viene
meno la novella giustificazionista
della “vendetta”… per cosa?

Grazie a Pierluigi Romeo di
Colloredo e alla coraggiosa casa
editrice Eclettica di Alessandro
Amorese, si è fatto un passo in
avanti per la comprensione di cosa
avvenne, nel corso dei decenni,
sul nostro “amarissimo” confine
orientale. Ma ancora è lontano
quell’atto di giustizia che la
dignità di essere una Nazione
pretende per riparare a quel
torto.

Pietro Cappellari