IL CENTENARIO DELLA STRAGE DI RENZINO: UNA BARBARIE ANTIFASCISTA

17/4/2021

Oggi, 17 Aprile 2021, ricorre il centenario di uno dei più gravi fatti di sangue che si registrarono nel corso di quella tornata elettorale nel territorio aretino. Premetto che, nell’Autunno 1920 e inizio 1921, siamo nel periodo delle famose “settimane rosse” nelle quali comunisti ed anarchici – guidati e foraggiati da agenti bolscevichi – imponevano la chiusura delle fabbriche, dei negozi, fermavano i treni e – per quanto riguarda i generi alimentari – rimanevano aperte solo le cooperative rosse. Il tutto era reso possibile da Governi deboli e qualche volta anche collusi. In questo clima elettorale si crearono le condizioni per quella che è passata alla storia come l’imboscata tesa dai rossi a Renzino, piccola frazione del Comune di Foiano della Chiana. In questo clima, il 17 Aprile 1921, alle cinque di mattina, un camion (il famoso 18 BL della Prima Guerra Mondiale!) partì da Arezzo con a bordo una ventina di fascisti aretini e fiorentini guidati dal Capitano Fegino, reduce di guerra e in servizio presso l’87° Fanteria di Arezzo, per un giro di propaganda elettorale in Val di Chiana. A bordo portavano bandiere tricolori cucite artigianalmente da studentesse aretine per issarle nei Municipi in cui sventolava la bandiera rossa che aveva sostituito arbitrariamente quella nazionale.

Durante il giro elettorale, a Marciano e Pozzo della Chiana, rimase ferito il fascista Ettore Guidi, di Poppi, che venne ricoverato all’ospedale di Foiano della Chiana. Siccome si sparse la voce che c’era l’intenzione di assaltare l’ospedale per prelevare il ferito, sette fascisti armati rimasero a guardia del ferito, mentre gli altri dovevano rientrare ad Arezzo per impegni pomeridiani. Per esempio, il Capitano Figino doveva riprendere servizio; Bruno Dal Piaz, che giocava al calcio come portiere, aveva una partita a Città di Castello.

In località Renzino venne preparato l’agguato dal comunista Galliano Gervasi e dall’anarchico Melacci: nascosti dietro un’alta siepe di bosso e nella casa colonica del Sarri una cinquantina di comunisti.

Avvertiti dal suono di una campana posta su di un campanile a vela di una piccola chiesetta posta circa trecento metri prima di Renzino, non appena il 18 BL fu a tiro, una nutrita fucileria colse di sorpresa i fascisti. Purtroppo fu colpito a morte l’autista, Dante Rossi, fiorentino reduce e ferito di guerra. Il camion sbandò e s’inclinò sul fossato adiacente.

Con la prima scarica comunque tutti furono feriti, il Capitano Figino sbalzato fuori rimase incastrato sotto il camion, e gli altri in situazione di non poter più difendersi. Ebbe così inizio il massacro e l’oltraggio ai cadaveri. Con roncole e forconi venne attuata la caccia all’uomo anche da parte di donne. A Dante Rossi venne tagliata la testa; a Gabriele Quadri, già ferito, vennero mozzate le dita per rubare gli anelli; il volto di Guido Ciofini ridotto una maschera di sangue [morirà il 18 Dicembre successivo]; a Coppelli venne squarciata una guancia a colpi di roncola; Tolemaide Cinini, colpito fra i primi perché in piedi con il Tricolore, venne massacrato e morì poco dopo; Aldo Roselli, ferito alle gambe, venne raggiunto e torturato fino all’asportazione degli occhi; a Bruno Dal Piaz, ferito alla spalla da pallottola esplosiva “dum dum” venne spaccato il cranio con un colpo del calcio di fucile; Giambattista Romboli di Foiano ferito da fucile da caccia alle gambe e al viso; feriti gravemente anche Giuseppe Narbona, Giuseppe Fiorineschi, Bertolotti, tutti fascisti fiorentini; ferito leggermente Dante Lelli, che attraverso i campi raggiunse la fattoria di Rigutino nell’intento di dare l’allarme.

Un ragazzo segnalava quelli ancora vivi e il massacro sarebbe continuato se non fossero passati dei ciclisti che, alla vista di tale massacro, tornarono immediatamente a Foiano a dare l’allarme e solo così non poterono finire l’opera perché, ormai scoperti, lasciarono precipitosamente il luogo della strage.

La ferocia dell’episodio fu un bumerang per i “rossi”. Furono fondati Fasci in Val di Chiana, nacque una consistente sezione a Foiano e addirittura cento operai del Fabbricone, la più importante industria di Arezzo di proprietà della Bastogi, aderirono al Fascio aretino.

Su “Il Popolo d’Italia” del giorno dopo Mussolini scrisse sull’episodio un articolo intitolato La morale:

Il discorso che noi teniamo ai fascisti di tutt’Italia è molto semplice. Più che un discorso è un ordine categorico. Non prendere mai, se non in caso specifico, l’iniziativa di un’azione violenta. Eliminare dalla storia del Fascismo la cronaca delle piccole aggressioni individuali. Nel caso di incursioni in zone ostili prendere le più diligenti e rigorose misure di sicurezza. Ripetiamo ancora una volta che la violenza fascista deve essere rigorosa, ragionata, razionale, chirurgica. Non deve diventare un’esercitazione estetica o sportiva. Deve conservare il carattere di una bisogna ingrata alla quale è necessario sottoporsi finché certe condizioni di fatto non siano cambiate.

L’anarchico Melacci venne condannato a 30 anni di reclusione e il comunista Gervasi a 20 anni, che non scontarono interamente perché nel 1932, nel Decennale della Marcia su Roma, venne applicata una amnistia di cui poterono beneficiare.

Stelvio Dal Piaz