Don Angelo Scarpellini
18/2/2024Don Angelo Scarpellini nasce il 18 febbraio 1891 a Longiano (FO), Borgo di origini longobarde sulle colline romagnole, e muore a Savignano sul Rubicone (FO) il 20 luglio 1979. E' ordinato Sacerdote nel 1914 nel Tempio Malatestiano riminese da Monsignor Vincenzo Scozzoli, Vescovo di Rimini dal 1900 che muore 10 giorni dopo il distruttivo bombardamento (29 gennaio 1944) dello stesso Tempio. Conseguita la laurea in Belle Arti alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Alma Mater di Bologna, a seguito della mobilitazione generale del 10 maggio 1915, presta continuo servizio militare in Sanità fino al 1918. E' un mutilato di guerra.
Dopo vari insegnamenti in Scuole del Veneto, nel 1928 ottiene la Cattedra di Lettere Classiche presso il Liceo Ginnasio Luigi Galvani di Via Castiglione 38 a Bologna, dove rimane fino al 1942.
Scrittore e giornalista pubblica a Bologna nel 1939 AUGUSTO NELLA LUCE DEL VANGELO, nel 1942 ITALIA DELLA CONCILIAZIONE e in RSI, firmando anche Pier l'Eremita, collabora a Cremona con il quotidiano IL REGIME FASCISTA e con il periodico CROCIATA ITALICA, dove compaiono articoli che apertamente accusano di essere imboscati coloro che “nell'ora della prova sentono improvvise vocazioni alla molle e comoda contemplazione, alla solitudine, ai romitaggi”.
Da giugno 1944 è Cappellano della 23. B.N. Eugenio Facchini e anche della 3. B.N. mobile Attilio Pappalardo con il consenso dell'Arcivescovo di Bologna Giovan Battista Nasalli Rocca, ma la nomina non viene convalidata dalla 2. Sezione dell'Ordinariato Militare (Giuseppe Casonato e poi Silvio Solero), con sede a Verona e competente per i 3 mila Cappellani rimasti in Servizio dopo l'8 settembre 1943, e che entro il 3 dicembre 1944 prestano giuramento alla RSI per poter passare alle dipendenze del Ministero delle FF.AA. (nel dopoguerra puniti con 15 giorni di Fortezza da scontare in un Convento del Vaticano). Almeno 30 Cappellani Militari sono assassinati nel territorio della RSI, tra essi Giuseppe Amateis, Sebastiano Caviglia, Crisostomo Ceragioli, Edmondo De Amicis, Fernando Ferrarotti, Giuseppe Gabana, Domenico Gianni, Giovanni Persichillo, Angelico Romiti e Leandro Sangiorgio.
Catturato e seviziato a Reggiolo (RE) è tradotto al Campo di Concentramento di Coltano (PI) dove rifiuta a fine estate 1945 l'ospitalità dell'Arcivescovo di Pisa Gabriele Vettori. Dimesso da Coltano si presenta a Reggio Emilia, e viene subito incarcerato, per difendersi davanti a quella CsA da denunce di collaborazionismo. Il processo su richiesta del locale Vescovo Beniamino Socche viene trasferito per legittima suspicione. A un Magistrato che gli chiede di riconoscere i colpevoli di percosse in carcere tra un gruppo di detenuti includente gli aguzzini, pur sofferente, con fermezza risponde: non conosco nessuno.
Il 12 marzo 1947 a Bologna è condannato a 24 anni di reclusione per una testimonianza risultata falsa, condanna confermata in Appello con trasferimento, causa percosse in quello di Bologna, al carcere di Perugia. Tra i tanti, aveva testimoniato a suo favore il Preside del Liceo Galvani e un ragazzo, in rappresentanza di un gruppo di allievi, aveva detto che ogni accusa contro don Angelo li lasciva indifferenti perché falsa e, in nessun caso, poteva minimamente incrinare “l'immacolata figura del loro Professore”.
Scarcerato nel 1952 dopo l'assoluzione in Cassazione del 6 luglio 1948, pur con i timpani rotti, i denti spaccati e una frattura al cranio, riprende come può ad insegnare. Si dedica all'assistenza nella Casa dell'Orfano di Ponte Selva di Parre (BG) e nel 1960, con la collaborazione di Luigi Gobbi di Milano, è autore di LETTERE DI CADUTI DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA, Editore Federigo Cappelli di Rocca S.Casciano (FO), ristampato nel 1963 da Rivista Romana-Collana Studi Storici, a cura di Vanni Teodorani ed Emilio Canevari, con il titolo LA RSI NELLE LETTERE DEI SUOI CADUTI.
Al funerale in Savignano sul Rubicone del 24 luglio nella Collegiata di S. Lucia il Vescovo di Rimini Giovanni Locatelli così riassume le sue doti morali: tutto dedito al Signore anche davanti alla morte.